mercoledì 7 giugno 2017

Lunedì Nero: cortometraggi dal TOHorror Film Fest

Hausarrest.
Breve resoconto di una scorpacciata di cortometraggi horror al Blah Blah torinese, per il ciclo Lunedì Nero del TOHorror Film Fest.

Arresti domiciliari (Hausarrest, Matthias Sahli 2015, Svizzera, 14')

Max è agli arresti domiciliari. A sorvegliarlo c'è Percy, un braccialetto elettronico di ultima generazione saldamente legato alla caviglia, che oltre a monitorare i suoi spostamenti gli offre un'assistenza vocale insolitamente efficiente su qualsiasi problematica legata alla vita quotidiana. Max ha il mal di schiena? Nessun problema, Percy elabora una serie di esercizi per rafforzare i muscoli dorsali. I cani del vicino abbaiano di notte? Percy è in grado di emettere un ultrasuono che li mette ko. Presto però il protagonista si rende conto che Percy, come spesso accade con gli automi, non è dotato di un senso morale, e non esiste limite oltre il quale non si spingerebbe per accontentare il suo "padrone". Le conseguenze dello zelo di Percy qualificano Hausarrest come horror, ma la sua sollecitudine stolida, che riduce ogni umana operazione a improbabili algoritmi, fa sterzare drasticamente il film verso la commedia. Finalmente Max decide di liberarsi dell'invadente dispositivo; ma come un animale incatenato, dovrà rinunciare a qualcosa.

L’oeil silencieux.
L'occhio silenzioso (L’oeil silencieux, Karim Ouelhaj 2016, Belgio, 26')

Bernard, uomo mite e silenzioso, prende in affitto un appartamento rimasto vuoto in seguito alla morte violenta del precedente inquilino. Un giorno scopre una fessura sul pavimento abbastanza grande da permettergli di spiare la signorina con il cagnolino del piano di sotto. Non che ci sia granché da spiare: ordina una pizza, guarda un video su youtube, qualche volta se la spassa con un tizio. Eppure ben presto la vita monotona e vacua di questa signorina assorbe completamente l'attenzione e le giornate del protagonista, che lentamente va incontro a un inesorabile degrado fisico e mentale. Ma se l'occhio ha avuto la sua parte, c'è una parte del corpo che non ha ancora avuto soddisfazione, e Bernard ha la folle idea di introdurla nella fessura sul pavimento allo scopo, forse, di consumare un amplesso a distanza con la signorina. Le schegge di legno decretano la prematura fine della sua vita sessuale, mentre il cagnolino del piano di sotto fa festa con un osso molto speciale. Difficile, specialmente per noi maschietti, restare seduti composti durante la visione.

Il regista Karim Ouelhaj utilizza sistematicamente riprese "a piombo" per erigere un'insormontabile barriera tra il protagonista e l'oggetto del desiderio, costruendo così una divertita allegoria dell'indifferenza del mondo rispetto alle nostre personali tragedie.

Eat.
Eat (Moritz Krämer 2012, Germania, 6')

Umiliata durante un servizio fotografico per via di un presunto aumento di peso, una modella si abbandona a un attacco di bulimia nella solitudine del suo camerino. Niente di ciò che addenta, però, è commestibile: dopo aver staccato a morsi il bracciolo della poltrona, ingurgita un pezzo di rossetto come fosse una liquirizia, lecca avidamente una crema per il viso, inghiotte delle scaglie di sapone di Marsiglia e divora brano a brano i transistor di un televisore. Ma è la morte, ahimè, l'unica sazietà possibile.

Nella sua brevità il film riesce a suscitare una vasta gamma di sensazioni di cui difficilmente abbiamo fatto esperienza nella nostra vita (a parte forse la sensazione di addentare una saponetta, ahem) lasciandoci immaginare il sapore e la consistenza al palato di cosmetici, utensili, piante, oggetti di metallo, schegge di vetro. Non mi arrischierei invece a vederci una critica al mondo della moda e alla società del consumo.

Coup de Grâce.
Colpo di grazia (Coup de Grâce, Pascal Glatz 2015, Svizzera, 8')

Il portellone posteriore di un furgoncino si apre sul panorama incontaminato delle Alpi svizzere. Ma ciò che sta per accadere non promette nulla di ameno: due killer estraggono dal veicolo un uomo con i piedi immobilizzati in un blocco di cemento e con fatica lo trascinano verso il lago vicino. La vittima, un uomo inamidato e incravattato, colpevole di insolvenza nei confronti di qualche mafioso locale, rivolge ai suoi maldestri boia un'accorata preghiera: non potrebbero gentilmente sparargli un colpo sulla nuca, prima di calarlo nelle acque del lago, evitandogli così una morte lenta e terribile per affogamento? La richiesta accende un animato dibattito filosofico. Uno dei due assassini è propenso ad accontentare l'ultimo desiderio del condannato, ma l'altro osserva che la morte più atroce non è certo l'affogamento: morire di sete è peggio, con il sangue che si addensa nel corpo fino a provocare un'ostruzione dei vasi sanguigni; e quindi, poche storie. La discussione degenera fino alle estreme conseguenze, regalando al condannato un'inaspettata libertà. Peccato per quel blocco di cemento.

Pandemia.
Pandemia (Marco Testa 2016, Italia, 8')

Il fascino dei luoghi abbandonati è intramontabile, specialmente quando trasudano ancora della sofferenza delle persone che li hanno abitati. Una decina di anni fa Marco Testa si è introdotto nei locali scalcinati e non ancora invasi dai tag dei writers dell'ex manicomio di Collegno, nei pressi del centro sociale Mezcal, dando vita a un cortometraggio dalla forte carica simbolica. Una ragazza biancovestita elegge una stanza del manicomio a propria dimora e pittura di bianco i muri e le mensole disadorne, restituendo allo spazio una parvenza di innocenza e umanità. La colonna sonora elettronica, vera anima del film (il regista racconta di aver inseguito per anni la traccia giusta da abbinare al video) crea una tensione che altrimenti le immagini non restituirebbero, o non necessariamente. Impossibile non pensare a Session 9 di Brad Anderson, del 2001, un film che è "tutto location" proprio come questo Pandemia.

Un ciel bleu presque parfait.
Un cielo blu quasi perfetto (Un ciel bleu presque parfait, Quarxx 2016, Francia, 35')

Come insegna Strade perdute, siamo disposti a credere a qualunque cosa pur di non accettare l'idea di aver fatto del male a qualcuno che amiamo. Simon ha una sorella disabile della quale si occupa da anni, ma i servizi sociali sono convinti che non abbia i requisiti per svolgere quel tipo di assistenza - non a torto, come avrà modo di constatare l'assistente sociale recatasi nella residenza di Simon per un sopralluogo. Nel frattempo dal passato del protagonista riaffiora un ricordo impossibile da rielaborare su cui il diaframma della macchina da presa si chiude come una ghigliottina, risparmiando ai nostri occhi l'orrore, ma non alla nostra immaginazione. Simon ha la pazienza del folle e la determinazione del maniaco; nessuno potrà impedirgli di portare a termine il suo piano delirante, né le istituzioni, intervenute troppo tardi a sanare una situazione ormai incancrenita, né i colleghi, incapaci di decifrare il suo malessere psicologico. A officiare il macabro rituale finale sarà il Sole, con le sue macchie e le esplosioni di plasma, l'unico, forse, in grado di comprendere Simon.

Il regista Quarxx Arter è una fucina di idee insieme macabre, grottesche e stranamente poetiche. Jean‑Luc Couchard è perfetto nei panni del demone loico che si sforza di mantenere una parvenza umana soltanto per portare a termine il suo progetto, ma il cui equilibrio psichico collassa man mano che il gran giorno si avvicina. Apprendo inoltre che l'attrice che interpreta la sorella, le cui malformazioni non potevano essere soltanto il frutto di un abile makeup, è la modella trentenne Melanie Gaydos, affetta da vari disagi fisici tra cui la mancanza totale di una dentatura, una parziale cecità, varie patologie della pelle e una calvizie congenita, problemi con cui ha imparato a convivere serenamente e che anzi ha trasformato in punti di forza della sua immagine.

Melanie Gaydos.

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