sabato 7 ottobre 2017

Kollektor - Il riscossore (Alexey Krasovsky, 2016)


Visto alla prima edizione torinese del Festival del Cinema Russo in un pigiatissimo Massimo 3, Il riscossore è essenzialmente un racconto morale sorretto da una sceneggiatura intrigante e una performance eccellente quanto estenuante dell'attore Konstantin Khabensky, unico interprete visibile in mezzo a un'alternanza di voci al telefono e fuori campo. La storia si svolge a un piano alto dell'edificio dove ha sede la società di riscossione crediti presso cui lavora Artur, un uomo di mezza età con un talento particolare per l'ingrato mestiere di esattore; la straordinaria efficienza con cui convince i debitori a restituire le somme dovute ai relativi istituti di credito è pari soltanto alla crudeltà con cui li ricatta esercitando raffinate tecniche di pressione psicologica. Ecco perché Artur è particolarmente ghiotto di informazioni riguardanti la vita privata dei malcapitati, che si procura in modi più o meno leciti e poi raccoglie in voluminosi dossier: beghe familiari, relazioni extraconiugali, lutti, problemi di salute, diventano nelle sue sapienti mani un eccellente incentivo al pagamento.

Il riso beffardo e soddisfatto con cui accompagna le sue telefonate vessatorie tradisce il piacere perverso che Artur trae dallo scavare nelle piccole meschinità quotidiane delle persone, ed è piuttosto divertente vederlo all'opera mentre telefona ai debitori nei momenti più inopportuni, circuendoli con la sua irritante prosopopea. In una scena a metà tra l'amaro e l'esilarante, Artur escogita il modo di tenere occupato al telefono il chirurgo di uno dei suoi "clienti" quel tanto che basta per rendere insopportabile una già di per sé abbastanza sgradevole gastroscopia. Come poi sia riuscito nella missione impossibile di convincere un anziano signore affetto da demenza senile a restituire un'ingente somma di denaro, su cui la stessa società di riscossione aveva ormai rinunciato a mettere la mani, è un mistero che verrà svelato nel corso di una delle tante conversazioni che affollano la sua perennemente occupata linea telefonica.

Tutto nella vita di Artur sembra andare a gonfie vele: ama il suo lavoro, la sua vita coniugale è ragionevolmente felice, i colleghi lo stimano e il capo lo ricompensa dei suoi successi con generosi premi di produzione. Finché una sera, mentre sta per uscire dall'ufficio dopo una lunga giornata di lavoro, riceve un'email con allegato un video che lo mostrerebbe davanti a una scuola elementare nell'atto di compiere un gesto di violenza gratuito e insensato. Quando pochi minuti dopo il video viene pubblicato in rete, amici e colleghi gli fanno il vuoto attorno per non essere trascinati insieme a lui nel fango della diffamazione, a dimostrazione della fragilità dei legami personali e professionali su cui si regge la sua esistenza: il capo lo licenzia seduta stante minacciando di far intervenire la polizia, la direttrice della galleria d'arte dove avrebbe dovuto recarsi quella sera stessa in compagnia della moglie lo diffida dal presentarsi, e perfino la sua più fidata collaboratrice decide di abbandonarlo per paura di perdere a sua volta il lavoro. Artur, barricato nel suo ufficio con soltanto laptop e cellulare a disposizione, ha poche ore di tempo per dimostrare al mondo la sua innocenza (ammesso che sia per davvero innocente) e convincere la sua ricattatrice ad abbandonare ogni proposito di vendetta. Nel corso di un'intensa, frenetica notte tutti i nodi irrisolti della sua vita verranno al pettine, costringendolo a prendere coscienza della sofferenza che ha causato e del mostro che è diventato.

L'attore Khabensky, costretto nello spazio angusto di un ufficio deserto, si districa egregiamente tra i vari fili narrativi, dando forma con le parole a ciò che la telecamera non può e non vuole mostrare. C'è come minimo un precedente, il film Locke con protagonista Tom Hardy, del 2013, dove l'attore si trovava in un'analoga impasse (la location in quel caso era l'abitacolo di un'auto) da cui poteva sperare di uscire soltanto grazie a un utilizzo oculato e tempestivo del telefono cellulare. In entrambi i film è la rapidità con cui si susseguono le telefonate a sopperire alla monotonia dell'ambientazione, che in qualche modo sembra più ampia per effetto dell'iperattività a cui è costretto il protagonista. Tornando al Riscossore, va detto che la sceneggiatura piuttosto densa e verbosa costringe ad un esercizio piuttosto sfiancante di lettura dei sottotitoli (non c'è speranza che il film venga tradotto in italiano) ma è uno sforzo che si fa volentieri.


Personalmente ho qualche riserva sulla scelta di dipingere Artur, nella prima parte del film, come un autentico cerbero. L'onnipresente ghigno beffardo, il cinismo ostentato e il disprezzo per i più deboli ne fanno una sorta di caricatura che, come il Franti del libro Cuore, ne rivela la funzione smaccatamente morale all'interno della storia. E se da una parte fa un certo effetto intravvedere un barlume di umanità in mezzo a tanta cattiveria (la compassione, non necessariamente verso i suoi simili, sembra non essergli del tutto estranea) dall'altra devo ammettere che quando Artur ha iniziato a ricevere la sua dose di meritate batoste, tutte opportunamente concentrate nell'arco di mezz'ora, ho finito per rimpiangere la vecchia versione di aguzzino senza scrupoli, e mi si perdonerà se ho cominciato a sperare che facesse una strage sommaria di amici e nemici alla maniera di Michael Douglas in Un giorno di ordinaria follia o Zoë Lund ne L'angelo della vendetta. Quando l'intento moralistico è così scoperto si rischia, ahimè, di sortire sullo spettatore (beh, almeno questo spettatore) l'effetto contrario.

Nonostante qualche inverosimiglianza di troppo (uno scherzo di cattivo gusto ai danni della galleria d'arte si rivela addirittura il fattore decisivo che ne decreta il successo, un capovolgimento più degno di una commedia degli equivoci che di un film a tinte drammatiche) e qualche ingenuità a livello di colonna sonora (davvero poco accorta la scelta di accompagnare con un crescendo di musica melodrammatica un momento cruciale del film che avrebbe richiesto il massimo silenzio) Il riscossore rimane un esempio interessante di "audiofilm" perfettamente godibile anche a occhi chiusi perché giocato quasi esclusivamente sulla potenza evocativa della parola, un film-iceberg dove la parte visibile rivela un mondo di immagini sommerse che è compito dello spettatore girare e montare nella camera oscura dell'immaginazione secondo la propria sensibilità.

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