mercoledì 8 novembre 2017

Good time (Safdie brothers, 2017)


(La recensione si riferisce alla prima ora e ultimi dieci minuti di film, perché nella mezz'ora restante ho dormito saporitamente.)

Ambientato nel mondo della microcriminalità newyorchese, Good time racconta delle imprese di "Connie" Constantine (Robert Pattinson), ladruncolo più abile a suscitare la simpatia del prossimo che a svaligiare banche, e del suo complice nonché fratello minore Nick (Ben Safdie, uno dei due registi), affetto da un ritardo mentale che lo rende particolarmente inadatto alla vita da fuggiasco nella quale Connie, pur di non accettarne gli evidenti limiti cognitivi, cerca disperatamente di coinvolgerlo. La loro avventura comincia con una maldestra rapina in banca al termine della quale i due si ritrovano inzaccherati dalla testa ai piedi di inchiostro macchiatore per banconote (non troppo indelebile, a dirla tutta), senza autista e con la polizia alle calcagna. Dopo una rovinosa fuga fra strade e centri commerciali Connie riesce fortunosamente a trarsi d'impaccio, mentre il maldestro Nick si stampa contro una porta a vetri e viene sbattuto in cella in compagnia della peggior feccia della malavita locale.

Naufragato così il piano iniziale di usare il bottino per estinguere un grosso debito e ricominciare una nuova vita lontano da New York, l'obiettivo di Connie diventa adesso quello di trovare al più presto diecimila dollari con cui pagare la cauzione del fratello prima che la dura vita carceraria abbia la meglio sulla sua fragile persona. La soluzione più semplice sembra essere quella di far leva sulla dabbenaggine della fidanzata Corey (Jennifer Jason Leigh, bravissima a recitare la parte della bietolona abbrutita) che acconsente senza troppe esitazioni a prelevare la somma necessaria dalla carta di credito materna, senonché anche questa estorsione fallisce miseramente dal momento che l'anziana madre, decisamente più perspicace della sua progenie, ha preso per tempo le dovute precauzioni.

Frattanto la notizia inaspettata del ricovero di Nick in ospedale, probabilmente in seguito a una rissa fra gentiluomini, scombina ancora una volta i piani di Connie, questa volta deciso a riportare a casa il fratello senza passare per le vie ufficiali. Eludere la sorveglianza si rivela contro ogni pronostico la parte più semplice, ma il ricongiungimento dei due fratelli viene rinviato ancora una volta a causa di una serie di malintesi e contrattempi che non conviene che vi racconti, perché qui entriamo in piena zona spoiler. Il maggior piacere della visione consiste infatti nello scoprire scena dopo scena che cosa riserva il destino al nostro protagonista  e di cose, nell'arco di quell'unica, turbolenta notte che segue la famosa rapina, gliene capiteranno "di ogni".


Lo stesso inesauribile flusso di energia che rende piacevole il tempo passato in compagnia di Connie e dei malcapitati che gravitano nella sua orbita di influenza è anche ciò che rischia di far deragliare il film per eccesso di velocità, perché è difficile sostenere un ritmo così frenetico per 99 minuti consecutivi senza scivolare nella monotonia (con le conseguenze che già sapete, ahem). In questo senso non è d'aiuto la colonna sonora composta per il film dal musicista sperimentale Oneohtrix Point Never, che per quanto molto coinvolgente rischia di esasperare ulteriormente un ritmo di per sé già abbastanza concitato. Va però sottolineato che Pattinson fa un lavoro egregio per restare al passo con il dinamismo della sceneggiatura, approfittando dei rari momenti di quiete per restituirci il ritratto complesso di un uomo condotto alla rovina da un idealismo strampalato come la sua capigliatura impossibilmente bionda, e da un comprensibile eccesso di amore verso il fratello più debole (e per cortesia smettiamola con questa storia che "Pattinson si è affrancato da Twilight" quasi fosse un marchio di infamia).

Parlando di petty criminals alle prese con loschi traffici, è inevitabile il paragone con Ill Manors, film di Ben Drew (in arte Plan B) ambientato nei bassifondi di Londra, anch'esso incentrato sulle disavventure di un ragazzo con la fedina penale sporca ma di indole essenzialmente buona in cerca di una via d'uscita dalla miseria e dall'emarginazione. Ma mentre il film inglese mi aveva convinto con il suo mix di drammaticità e humor nero, mi sembra che la sua controparte americana abbia mal calcolato il tono che accompagna la narrazione. Da una parte infatti è impossibile prendere sul serio l'interminabile sequela di calamità che si abbatte su Connie, che oltretutto riesce sempre a sgusciare via indenne da ogni situazione come il personaggio di un cartone animato, e ad ottenere ciò che vuole adducendo le scuse più bestiali («ho perso le chiavi di casa e mia madre uscirà dal lavoro soltanto alle 7...»), ma dall'altra ci viene richiesto di prendere molto seriamente la disabilità mentale di Nick, stretto tra l'incudine della delinquenza e il martello dei servizi sociali, sul quale significativamente si incentrano sia l'incipit sia l'epilogo di Good time. È una miscela azzardata che non sempre funziona.

Mi resta il dubbio che la mia sostanziale avversione per i crime movie e le condizioni psicofisiche in cui versavo la sera in cui ho visto Good time abbiano avuto un certo qual peso sul mio giudizio, motivo per cui non me la sento, in tutta coscienza, di sconsigliare la visione di un film che oltretutto ho visto soltanto parzialmente e forse non avrei dovuto recensire in the first place. Mi preme però anche sottolineare che di norma i crime movie, più che farmi assopire, mi fanno star male  e questo sì, è un avvertimento.

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