martedì 28 novembre 2017

Nemesi aka The assignment (Walter Hill, 2016)


Tradotto in italiano con il più aulico Nemesi, The Assigment si regge su una premessa fragile e piuttosto difficile da mandar giù, ma grazie all'assoluta fiducia con cui viene portata avanti fino alle sue estreme conseguenze e a un'eccellente performance dell'irruenta Michelle Rodriguez, il film finisce per farsi voler bene. Si tratta fondamentalmente di un revenge movie dall'impianto classico con una semplice ma significativa variazione sul tema.

Il film corre su due binari paralleli. Nel primo seguiamo l'interrogatorio della dottoressa Rachel Jane aka The Doctor (una magnetica Sigourney Weaver), chirurga plastica costretta alla camicia di forza perché accusata di diversi crimini che, scopriremo poco a poco, hanno a che fare con una serie di omicidi a sangue freddo e un intervento chirurgico di riassegnazione del sesso praticato su un paziente non esattamente consenziente. A questa vicenda si intreccia un lungo flashback che ripercorre la storia di Frank Kitchen, killer su commissione finito suo malgrado sotto il bisturi sadico della dottoressa Rachel come punizione per averle ammazzato il fratello. Che la transizione forzata di Frank sia la conseguenza di un regolamento di conti sembra chiaro fin dal principio, ma restano alcuni punti oscuri su cui la commissione d'inchiesta vorrebbe far luce: il dottor Galen, che conduce l'interrogatorio, è convinto addirittura che Frank non sia altro che una proiezione mentale della dottoressa Rachel, ipotesi che sembra confermata dalla totale assenza di prove a suffragio della sua esistenza ma che contrasta vigorosamente con una testimonianza video che potrebbe ma potrebbe anche non essere stata depositata presso un certo studio legale. Rachel è soltanto una schizofrenica paranoica con deliri di onnipotenza, oppure è davvero stata incastrata dal fantomatico sicario Frank Kitchen?


Che Frank esista realmente o che abbia preso forma nella torbida mente della dottoressa Rachel, a noi spettatori importa relativamente, perché il dolore per la perdita della virilità, il sentimento di vendetta, la confusione di chi non riconosce il proprio corpo sono quanto mai reali e verosimili. Malgrado infatti il tema della transessualità venga trattato con una profondità non paragonabile a Una donna fantastica, tanto per fare un esempio recente, il rispetto per chi si trova a dover affrontare una transizione non viene mai a mancare, anzi, la stessa dottoressa dichiara con la massima convinzione di nutrire una profonda stima per le persone transgender – e c'è da crederci, considerando che con il suo omologo Hannibal Lecter condivide la presunzione e l'efferatezza, ma certamente non il senso dello humor. Viene perfino da chiedersi se la scelta insolita di un protagonista transessuale sia soltanto un modo per iniettare una massiccia dose di originalità all'ennesima variazione sul genere del revenge movie, oppure, più verosimilmente, se sia piuttosto la confezione thriller a fornire un pretesto per parlare di transessualità – magari con leggerezza, ma mai con superficialità.

Nel solco di questo approccio "serio" si colloca la performance misurata di Michelle Rodriguez, molto attenta a calibrare la reazione del suo personaggio nel momento in cui realizza di aver perduto per sempre i propri attributi maschili, momento chiave che nelle mani di un altro regista e di un'altra interprete avrebbe potuto benissimo scivolare nel trash o nel sarcasmo facile; qui, al contrario, la tenuta drammatica è perfetta. Superato lo sconcerto iniziale, Frank, ormai nella sua versione al femminile, si mette sulle tracce di coloro che l'hanno (in)castrato, realizzando con soddisfazione che nel processo non ha perso un'oncia della sua letalità. Infatti, come spiega la stessa Rachel, la riassegnazione forzata del sesso non rappresenta soltanto il compimento della vendetta nei confronti di Frank, ma costituisce anche una sorta di perverso esperimento medico teso a dimostrare che la virilità in un essere umano non è correlata alla presenza o meno di attributi, ma piuttosto a un fattore puramente psicologico che neppure una vaginoplastica è in grado di alterare. La tragedia di Frank consiste proprio in questo, nel trovarsi intrappolato per sempre in un corpo che per istinto di sopravvivenza ha imparato a conoscere e governare, ma che continua – come dargli torto – a sentire come estraneo.


Ammetto che tutto questo possa suonare come ridicolo, e confesso che se invece di avvicinarmi a questo film con la mia consueta spoilerfobia mi fossi imbattuto in una descrizione della trama, difficilmente gli avrei dato una possibilità. Resta il fatto che Nemesi, più per serendipità che calcolo, funziona. La ragione del successo è forse da cercare nel motto oscarwildiano secondo cui è più facile dire la verità indossando una maschera che parlando in prima persona. Infatti, se da una parte è vero che un cambio di sesso contro la volontà dell'interessato è un ingrediente narrativo abbastanza strampalato e che il personaggio di Frank Kitchen è improbabile almeno quanto il nome che porta, è altrettanto vero che non c'è modo migliore per raccontare, a degli spettatori che per loro fortuna non hanno mai vissuto sulla propria pelle un disturbo di identità di genere, che cosa significhi abitare un corpo "sbagliato", sperimentare cioè uno sfasamento tra identità sessuale e biologica. La perdita della normalità è per noi più semplice da capire rispetto a una condizione di natura "errata" che rende necessario un intervento chirurgico, pur essendo quest'ultima condizione ben più comune di quella incarnata dal(la) protagonista di Nemesi (anzi, sarei curioso di sapere se esiste nella storia un precedente di paziente operato contro la propria volontà). Ecco allora che in virtù di un paradosso (non è la natura a creare un dissidio tra corpo e mente, ma l'ingegno umano) Nemesi riesce a farci immedesimarci nel dramma di un personaggio che è tanto più reale e concreto quanto più fittizia è la maschera che indossa. (In Mulholland Drive, anche se con tutta probabilità non era intenzione del regista David Lynch, troviamo un meccanismo analogo quando l'amnesia della protagonista ha come effetto collaterale quello di fare piazza pulita di ogni pregiudizio intorno all'omosessualità.)


Anche senza volersi soffermare troppo su sottili questioni di genere, Nemesi rimane comunque un'esperienza godibilissima. Il regista Walter Hill, già autore di classici del cinema d'azione come I guerrieri della notte e 48 ore, mette a punto un graphic novel in stile pulp che sa emozionare e coinvolgere, ma anche sorprendere con alcune significative variazioni rispetto al modello da cui trae ispirazione. Non mancano alcuni punti deboli, quali una performance piuttosto piatta da parte di un poco entusiasta Tony Shalhoub nei panni del dottor Galen, qualche scopiazzatura stilistica (si veda il freeze frame à la Kill Bill qua sopra) e una scarsa fantasia nella scelta delle inquadrature e dei movimenti di macchina da presa, specialmente durante il verboso interrogatorio all'interno della struttura psichiatrica. Il film si conclude con una sorpresa anatomica che qualcuno digerirà senza difficoltà ma che personalmente mi ha fatto storcere il naso, forse perché, un istante dopo aver azzardato un confronto con il finale del magnifico Freaks di Tod Browning, ho ripensato all'epilogo dell'esecrabile L'uomo di neve visto recentemente su questi schermi. A ciascuno le associazioni mentali che si merita.



Reminiscenze. Allo stesso modo in cui Nemesi affronta tematiche di genere sotto le mentite spoglie dell'action movie, Predestination e Cloud Atlas fanno altrettanto camuffandosi da film di fantascienza.

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